Niki De Saint Phalle e il Giardino dei Tarocchi: la genialità di un’artista.

di Elisa Heusch

QUARTO OCCHIO – Il tema centrale di questo mese di gennaio 2023 de La Redazione Online è la speranza, ovvero quel qualcosa che tiene vivi i desideri e permette a ciascuno di noi di proiettarsi in avanti superando le paure.

Ricollegandomi a tale importante argomento, ho deciso di dedicare il mio articolo ad una figura che ho avuto modo di conoscere più approfonditamente lo scorso anno, che mi sarebbe piaciuto molto poter conoscere dal vivo, e che di certo è stata un concreto esempio di come la speranza – anche per un futuro migliore – e la forza di volontà possano portare alla creazione di progetti magnifici, artisticamente parlando: Niki De Saint Phalle.

Niki de Saint Phalle, pseudonimo di Catherine-Marie-Agnès Fal de Saint Phalle (Neuilly-Sur-Seine, 29/10/1930 – San Diego, 21/05/2002), è stata una pittrice, scultrice, regista e realizzatrice di plastici francese, sicuramente una delle maggiori figure artistiche del XX secolo.

Niki è nata in Francia in una famiglia aristocratica, che si trasferì a New York dopo il crac bancario del padre, poco dopo la crisi del 1929. Nelle diverse scuole frequentate, sia private che pubbliche, Niki è stata quasi sempre insofferente e irrequieta; la vita negli Stati Uniti si alternava con le vacanze estive presso i nonni al castello Filerval in Francia e la doppia nazionalità ha contribuito sicuramente a farne poi una cittadina del mondo. All’età di 11 anni il padre ha abusato di lei, e questo evento drammatico ha avuto su di lei forti ripercussioni psicologiche (dopo decenni l’esperienza traumatica diventerà oggetto di un libro illustrato pubblicato dall’artista nel 1994).

Ella dunque viaggiava molto e tornava spesso in Europa, interessandosi anche di teatro e di letteratura e imparando molte lingue. Nel 1947 si è laureata alla Oldfield School, nel Maryland. Contemporaneamente posava come fotomodella per le riviste “Vogue” e “Life” e intrecciava importanti amicizie internazionali.
Nel 1950 Niki scappò di casa e sposò lo scrittore e musicista Harry Mathews, con cui ha avuto due figli.

A Nizza nel 1953 una crisi nervosa la costrinse a ricoverarsi per un periodo ed in questa occasione riemerse la tragica vicenda degli abusi paterni subiti da piccola.
Scoperto il valore terapeutico che aveva su di lei la pittura, da questo momento Niki cominciò a dedicarsi interamente all’arte, che da quel periodo in poi non l’abbandonerà più, con vari sviluppi ed evoluzioni.

La sua prima personale fu nel 1956 a San Gallo, in Svizzera, dove conobbe Jean Tinguely e la sua prima moglie Eva Aeppli; separatasi dal marito nel 1960, poco dopo iniziò a condividere con Tinguely uno studio vicino a Parigi e in quegli anni divenne celebre grazie ai “Tiri”: una serie di azioni durante le quali il pubblico o l’artista stessa sparano con la carabina su dei rilievi di gesso, facendo esplodere sacchetti di colore.

Qualche tempo dopo Niki cominciò a lavorare sulla figura femminile realizzando delle grandi sculture, coloratissime e formose: sono le Nanas, via via sempre più grandi e opulente. Nel 1966 nacque “Hon/Elle”, una figura gigantesca e prosperosa che si trovava nel ‘Moderna Museet’ di Stoccolma.

Questa Nana in poliestere era lunga ben 28 metri, alta 6 metri e lunga 9, ed era una scultura visitabile anche internamente: stava distesa sul dorso, come in procinto di partorire, e accoglieva nel suo grembo i visitatori che poi uscivano nuovamente da lei come in un parto. Nel seno sinistro dell’opera venne installato un piccolo planetario mentre nel seno destro si trovava un bar e dato che i visitatori potevano entrare nell’opera passando attraverso la vagina, questo suscitò all’epoca parecchie polemiche.

Dopo aver divorziato da Mathews, nel 1971 sposò Tinguely, con il quale si creò un sodalizio artistico duraturo ed estremamente fecondo per entrambi.

Ed è anche grazie al supporto e all’aiuto del suo secondo marito, che l’artista riuscì a realizzare – a partire dal 1978, nell’arco di circa venti anni – il suo maggior progetto artistico, cioè il Giardino dei Tarocchi, nella campagna di Garavicchio, a pochissimi chilometri da Capalbio, ispirata soprattutto al ‘ParcGüell’ di Gaudì a Barcellona, ma anche a ‘Las Pozas’, il giardino surrealista nascosto nella giungla messicana realizzato da Edward James, che ha finanziato gran parte del progetto della De Saint Phalle.

Il Giardino dei Tarocchi è un connubio tra arte e architettura: infatti utilizza il linguaggio dell’arte, ma con la dimensione umana ed abitabile dell’architettura. Il parco è popolato da ventidue sculture monumentali di cemento o di poliestere – alcune delle quali sono internamente percorribili – ispirate agli arcani maggiori dei Tarocchi.

Le figure presenti nel giardino occupano quasi mezzo ettaro di terra, donato dalla famiglia Caracciolo alla fondazione da lei creata [la Niki Charitable Art Foundation”].

L’artista aveva immaginato e concepito una passeggiata esoterica tra natura e cultura e l’ambizioso progetto è giunto a compimento alla fine degli anni ’90, entusiasmando ogni anno migliaia di visitatori da tutto il mondo.

All’ingresso del parco si trova una grande insegna in maiolica, sulla quale è riprodotta la calligrafia di Niki che spiega l’origine del giardino, le intenzioni dei suoi lavori, e anche la manutenzione che avrebbe voluto mettere in atto anche per gli anni a venire:

Nel 1955 (avevo allora 25 anni) ho visitato a Barcellona gli splendidi lavori di Antonio Gaudì, nel Parc Guell, le sue panchine fatte di frantumi di piatti, dove alberi di pietra stavano al fianco di veri alberi ho trovato il mio maestro: Gaudì. Questa esperienza ha forgiato il mio destino: un giorno costruirò un rifugio dove trovare pace e gioia. L’Italia mi ha molto aiutata in questo cammino. Ho visitato numerose città d’arte, le chiese ed i vari tesori artistici così unici e reperibili solo in questo paese: La Cappella Sistina, l’Ultima Cena di Leonardo, i favolosi giardini come quello di Villa d’Este e di Bomarzo (…), la mia visione è stata rinforzata da queste esperienze e mi sono dedicata a mia volta alla realizzazione di un giardino che ispiri, in questo mondo turbato, sentimenti artistici di serenità e di amore per la natura. Ho cominciato il giardino nel 1979, tra grandi difficoltà e fatiche fisiche. Una gran parte della mia vita è stata dedicata alla realizzazione di questa costruzione malgrado malattie ed isolamento di familiari ed amici. Ma niente mi poteva fermare. Quando mio marito, Jean Tinguely, era ancora in vita e veniva a lavorare nel giardino, spesso ci incontravamo a Orvieto perché entrambi adoravamo il suo Duomo. Ma un giorno, nel lontano 1985, dopo aver visto lo scempio causato da un sovraffollamento di autobus, gente e guide vocianti, decidemmo di non ritornarci mai più. Non era più possibile usare la chiesa come luogo di raccoglimento ed ammirazione: la sua santità era stata dissacrata! Troppe cose erano cambiate. Non era più possibile condividere la suprema bellezza del Duomo d’Orvieto con un numero esagerato di persone. E purtroppo questo accade in molti posti artistici italiani dove i beni culturali vengono asserviti al lucro ed alla speculazione. Mi ricordo di aver detto a Jean con grande tristezza che questo sarebbe stato il più grande problema col giardino. Mi promisi che mai il giardino sarebbe caduto nelle mani di gente che avrebbe potuto degradarlo. Non molti comprendono che il giardino è una fragile opera d’arte, con i suoi specchi, vetri e ceramiche ha bisogno di una delicata continua cura. È questa la ragione per la quale non può rimanere aperto tutto l’anno, senza un’adeguata manutenzione cadrebbe in rovina in pochi anni. E questa manutenzione deve essere eseguita dall’equipe che, avendo costruito il giardino insieme a me ha acquisito l’esperienza e l’abilità di farlo con cognizione ed amore. Dopo aver lavorato per vent’anni alla progettazione di questa opera non ho nessuna intenzione di vedere la delicata bellezza distrutta e vandalizzata. La mia visione del messaggio del giardino rimarrà fedele all’idea originale. Sono orgogliosa di poter offrire al visitatore questa rara ricchezza e il tempo di assimilare e riflettere sullo spirito del giardino, senza essere spinti affannosamente intorno come un branco di pecore. (…) Noi non continueremo a dissacrare l’arte, ma la mostreremo come deve essere presentata. L’Italia è sempre stata uno dei miei grandi amori e desidero contribuire con l’esempio alla conservazione dei suoi innumerevoli tesori artistici e della sua eredità culturale. Il mio giardino è un posto metafisico e di meditazione. Un luogo lontano dalla folla e dall’incalzare del tempo, dove è possibile assaporare le sue tante bellezze e i significati esoterici delle sculture. Un posto che faccia gioire gli occhi e il cuore.”  Niki de Saint-Phalle, 20 novembre ’97 “.

Presentazione Giardino


Capiamo dunque che il progetto di questo straordinario parco è diventato per l’artista una delle sue principali ragioni di vita, come testimoniano anche le interviste rilasciate in un video documentario da coloro che facevano parte dell’equipe di progettazione e realizzazione dei lavori.

Ad esempio Tonino Urtis, capocantiere appena ventenne all’epoca dell’inizio dei lavori, racconta tutto l’immenso lavoro manuale che è stato messo in campo per realizzare le gigantesche sculture, con la piegatura e la saldatura delle strutture di ferro; egli racconta che la mano del Mago è stata la prima ad essere mosaicata in specchi.

Specchi particolari, provenienti talvolta dal Belgio, ceramiche e vetri di Murano sono stati impiegati nella realizzazione della copertura delle sculture, con un lavoro dalla portata immensa. L’artista esprimeva le proprie idee insieme ai ragazzi che costruivano, in un perfetto gioco di squadra e con molto feeling, tant’è vero che per tutti loro si era creata una sorta di seconda famiglia, come raccontato anche da Alessia Celletti, figlia di Ugo Celletti, che lavorò parecchi anni insieme al padre attaccando vetri e specchi.

A mio padre brillavano gli occhi quando parlava del Giardino e io, che avevo circa 20 anni all’epoca, dovevo per forza venire a vedere con i miei occhi di cosa si trattava… è così che ho iniziato ad affiancare mio padre, cominciando prima dai mosaici del Drago (la carta della Forza), per poi dedicarmi a due colonne all’interno del Castello, quella dei triangoli e quella dei cuori. Niki era diventata come una seconda madre per me in quegli anni.” Il padre Ugo ha fatto con le proprie mani tutto l’interno della Sfinge (la carta dell’Imperatrice), con martello e scalpello, apponendo tutto il rivestimento di specchi e Niki stessa ha vissuto per un periodo lì dentro, trovando la propria ispirazione per disegnare e dipingere, nella stanza ricavata all’interno dell’enorme scultura. Era un luogo accogliente nel quale il team si ritrovava durante i lavori, per mangiare, chiacchierare e vivere intensi momenti di confronto.

Claudio Celletti racconta nel video quanto debba essere lungo e minuzioso il restauro delle sculture, in quanto essendo all’aria aperta ed esposte alle intemperie, i vetri e gli specchi vengono danneggiati abbastanza spesso: restaurare significa togliere tutto il rivestimento esterno rovinato e riposizionare poi tutti i piccoli pezzi, rispettando esattamente la posizione di ogni piccola forma come era originariamente, come vale per le stelle, le lune etc.
Anche molte persone non vedenti visitano ogni anno il parco e toccando le strutture e le forme presenti riescono ad emozionarsi e a percepire le opere anche se non le vedono.


A Niki piaceva molto che anche i bambini interagissero con le sculture. Il giardiniere Giampiero Ottavi, che era entrato a far parte dell’equipe, racconta di quanto ella tenesse alle piante del parco, tanto da coprire quelle che davano fastidio alla costruzione anziché volerle abbattere. Egli parla di lei in questi termini:
Era una donna fantastica, con cui si poteva parlare veramente di tutto. Non esisterà più una donna del suo calibro.

Le sculture di Niki sono ricche di significati simbolici ed esoterici, e disegnano una sorta di percorso iniziatico condotto in un’atmosfera giocosa. Esse sono il risultato di un lavoro interiore dell’artista, che si è interrogata sulla maternità, sul concetto di nascita-rinascita, e sulla volontà creatrice. Una sua celebre frase fu: «Gli uomini sono molto inventivi. Hanno inventato tutte queste macchine e l’era industriale, ma non hanno nessuna idea di come migliorare il mondo».


Sebbene prenda le distanze dal movimento femminista, ciò che Niki riesce ad esprimere è un’idea di femminile estremamente potente. Infatti tra tutte le sculture spicca l’Imperatrice-Sfinge, nella quale come ho detto l’artista ha abitato per lunghi periodi durante i lavori. In uno spazio senza angoli, la stanza da letto e la cucina sono ricavate nelle mammelle di una vera e propria Grande Madre.
In tutto il Giardino dominano appunto le curve e il movimento: i profili della vasca dove scorre l’acqua sono ondeggianti; altrettanto sinuose sono le sculture sparse in collina tra alberi, cespugli ed erbe alte. Maioliche e specchi rimandano e scompongono la luce del sole. I colori accesi sono proposti secondo un codice simbolico: il rosso è connesso alla forza creatrice, il verde alla vitalità primigenia; il blu è il segno «della profondità del pensiero, del desiderio ardente e della volontà», il bianco rappresenta la purezza; il nero indica «la vanità e i dolori del mondo», mentre l’oro è simbolo dell’intelligenza e della spiritualità.

Sulle stradine del parco Niki ha inciso appunti di pensieri, memorie, numeri, citazioni, disegni e messaggi di speranza e di fede, snodando un percorso materiale ma anche soprattutto spirituale.

Inizialmente ella fece scandalo, non venne capita dai più e fu criticata, in quanto alcuni sostenevano che le sculture avessero deturpato il paesaggio della campagna toscana, ma la sua energia e la sua caparbietà la portarono ad avere la meglio sui giudizi negativi, e finalmente ad ottenere il giusto riconoscimento e apprezzamento.
Niki aveva il potere di aprire le menti ristrette; il suo parco è intriso di poesia. Purtroppo ha dovuto combattere per molti anni con problemi di salute sempre più gravi: una malattia polmonare derivata dai gas tossici respirati manipolando il poliestere l’ha condotta fino alla morte, avvenuta nel 2002.
Ho visitato personalmente il Giardino, a giugno del 2021, e due mesi dopo anche la mostra “Il luogo dei sogni”, che sempre nello stesso anno – da luglio a novembre – è stata allestita nel centro di Capalbio come omaggio all’artista e al suo famosissimo parco e ho percepito un’atmosfera magica, un’energia difficile da descrivere fino in fondo. Si rimane a bocca aperta a guardare verso l’alto, o ci si potrebbe perdere per ore tra i viali, tra le colonne colorate e sfaccettate, in mezzo alle sculture-architetture sulle quali ogni angolo racchiude delle forme, dei messaggi, delle particolarità nascoste, dei riflessi impensabili.

Sono rimasta estasiata, come se avessi letto una fiaba.

È sicuramente uno dei luoghi più particolari e suggestivi della Toscana e d’Italia, e rappresenta un dono di immenso valore e sensibilità che l’artista ha saputo lasciare a tutte le generazioni future, perciò mi auguro che possa rimanere in ottime condizioni il più a lungo possibile!

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